Già, l’unico vampiro che accetto è il buon vecchio Edward.
Un grazie non si nega mai a nessuno ma pare che sia scontato dirlo. La chiamano dimenticanza, non mi è venuto in mente, forse non era poi così importante dirlo. E invece.
I grazie sono importanti. Tanto per parlare sempre per luoghi comuni.
Succede che fin da piccola io sia sempre stata più brava ad ascoltare che a parlare. Ok ultimamente sto sfracassando di parole più o meno tutti, ma credo sia una mia fase e sono la prima ad esserne annoiata, ci terrei a precisarlo.
Invece a quei tempi potevo stare al telefono, su una panchina, di fronte al supermercato o sui gradini della scuola per ore e ore a sentire fiumi di parole e prodigarmi in preziosi consigli. Che magari così preziosi non erano, ma giuro che non ne ho mai dati a caso.
Poi sono diventata grande e ho imparato (#credici) ad allontanare i vampiri energetici. Dicesi vampiro energetico quello che ti prosciuga le tue (preziosissime) energie con racconti, sfoghi, lamentele, alla ricerca di risposte che in realtà ha già, ma vuole solo sentirsi un po’ meno solo, in po’ più capito, un po’ più ‘sto peggio di te quindi ascolta’. Che fosse vero non l’ho mai pensato e se mi avessero chiesto un paio di volte come stavo io, avrei anche avuto qualcosa da dire. Ma.
Succede che sono diventata ancora più grande e la parola è stata spesso sostituita dalle chat, vuoi che in fondo vedo anche molto meno le persone faccia a faccia, non per l’avvento della tecnologia, ci mancherebbe, semplicemente perché non ho più gradini, panchine o muretti del supermercato. Ho sicuramente caffè al mattino e concerti alla sera e una cena al mese di chiacchiere vere, ma insomma, viene più difficile instaurare monologhi. Con l’unica che prosciugo davvero, ma almeno è reciproco e quindi non ho sensi di colpa, riesco ancora a parlare a voce, tutto il resto è chat, tanto Whatsapp. Tolti i vampiri, dicevamo, pare io sia rimasta di indole una persona pressoché disponibile. Che se mi fai una domanda rispondo. E giuro che penso alla risposta. Che anche se non siamo amici ma mi chiedi qualcosa, anche di lavoro, a un certo punto prendo tempo e rispondo (ok, quest’estate al 7 di agosto ho pensato di poter non rispondere subito, che, pensa un po’, anche io ogni tanto vado in vacanza e se mi mandi una proposta, con un link da cliccare e ascoltare, magari penso di dovermi concentrare davvero prima di rispondere e magari non penso di farlo in spiaggia mentre ho le mani in un castello di sabbia di lui e i piedi che fanno il bagno con lei. E allora non ti rispondo all’istante. No, all’8 di agosto mi vien fatto notare che rispondere è buona educazione. Su una chat di Facebook. E manco siamo amici. Vabbè sto divagando. Ma ne avrei almeno altri cinque di esempi così, che io dico, ma CI CONOSCIAMO?). Eppure, nonostante l’arroganza diffusa, perché sì, di questo si parla (ciao, mi dai la mail della redazione visto che tu non puoi aiutarmi anche se ti sei prodigata nel rispondermi almeno tre volte? EH?), io continuo (okok, quando diventa ridicolo sparisco. Sì, maleducatamente). E se mi chiedi, rispondo. Sicura che la condivisione delle informazioni faccia bene a tutti (ringraziamo Justine per aver rinfrescato il concetto), sicura che il confronto a qualcosa porterà sempre, sicura che se magari non ci avevi ancora pensato tu (o io), viene più facile se te lo suggerisco io (o tu).
E va benissimo così, sia chiaro. È anche gratificante pensare che le persone, amici o non, si prendano la briga di chiedere proprio a me un parere, consiglio. Abbiamo tutti bisogno di sentirci importanti per qualcuno, e quando lo siamo davvero, fa bene (ho un ego che ama sentirsi coccolato, tra le altre cose, vi fosse sfuggito). Ma lo siamo davvero?
A volte no, a volte è solo un palese tentativo di semplificarsi la vita, tu che ci sei già passata, lo hai già provato, lo hai già pensato, dimmelo, così so cosa fare, se mi dai un contatto anche meglio. Mi verrebbe meglio se tra una domanda e l’altra ci fossero anche chiacchiere normali, il come stai di cui sopra, il “giuro non sono un vampiro”. Evidentemente è più facile dare per scontato e il grazie te lo dico un’altra volta. In fondo gli amici ci sono nel momento del bisogno, no? Ecco, NO, ricordiamoci che gli amici ci dovrebbero essere anche nei momenti di gioia. O di noia. O sempre insomma. Ma soprattutto quando quei consigli di cui sopra, quei momenti dedicati (perché ve lo giuro, sono dedicati, quando il tempo dai due figli a questa parte è così prezioso) vanno a buon fine. Facciamo così, non mi serve neanche il grazie. Ma almeno DITEMELO. Aggiornatemi su come è finita. Non fatemelo leggere su Facebook. Condividete anche il bello, mica solo le sòle.
A volte invece sì. E lo scopri sempre da Facebook. Ma il grazie lo trovi, su quella stessa chat. E allora, sarà solo questione dello stesso ego da coccolare di cui sopra (non credo), ma fa piacere. Ti dà la sensazione di aver dedicato tempo per qualcuno che hai davvero, anche se in minima parte, aiutato. O magari non è per niente merito tuo, ma ci sei stata, e questo basta. E quindi, questo post che forse tanto senso non ha, se non di sfogo (ma l’ho detto subito che sono in una fase in cui mi annoio da sola di me stessa), finisce con un grazie. E un in bocca al lupo. Perché cacchio, è così facile dirlo.
Grazie, Lu. In bocca al lupo. http://www.ceraunavodka.it/chiusa-una-porta-ci-trovo-dietro-un-nuovo-lavoro/
A tornare indietro si fa sempre in tempo. A buttarsi e provarci, no.
PS. E ora, a parte gli scherzi, se avete bisogno son qui 🙂
Uh il muretto del supermercato!!!
quello, forse però c’era solo a casa nostra 🙂
tutto bene? chè dal post non è che si capisca molto!
baci!!