C’era una volta una Patata minuscola che arrivava a casa sua e come ogni bebè che si rispetti entrava in camera dei suoi genitori per dormire lunghe notti che duravano due ore. La madre la teneva vicino al letto per non doversi alzare a ogni risveglio. Il padre dormiva. Passarono i giorni, cinque per la precisione, e la madre decise che era stato bello, ma la dolce Patata grufolante doveva andarsene da lì. Già due ore duravano poco, due ore e tanti grufolii erano troppi. E fu così che la Patata entrò in quella che divenne la sua cameretta, una stanza dalla parete lilla e tappeti bianchi.
Passarono gli anni e tutti dormivano sereni. Poi un bel giorno entrò in casa il piccolo Lion e la sua mamma e il suo papà riaprirono le porte della stanza, pensando, ingenui, che questa volta avrebbero dormito con un minuscolo in stanza per mesi, in fondo non ci pensavano neanche a mettere il nuovo arrivato in camera con la regina della cameretta. Passarono i giorni, sette per la precisione, e la madre si ricordò che esisteva anche un soggiorno. E fu così che Little Lion diventò il re del salotto, muovendosi sulla sua culla con le ruote dall’angolo poltrone all’angolo tavolo, addormentandosi mentre la tv mostrava qualche telefilm ai suoi genitori.
Lei in camera, lui in soggiorno. (povero Lion)
Ma la madre sapeva che quest’idillio non poteva durare per sempre. Sapeva che era inutile rimandare il giorno in cui li avrebbe messi a dormire nella stessa stanza, ma continuava a farlo. Passarono i giorni, mesi per la precisione, e Lion iniziava a non starci più nella culla. La madre e il padre facevano finta di niente.«Su su, può piegare le gambe e ci sta ancora largo», dicevano, pensando di essere simpatici. Ma il conto alla rovescia era cominciato. Montando il lettino non avrebbero più avuto scelta.
La madre infine una sera prese coraggio. Ora o mai più, pensò. E spinse la culla con le ruote nella cameretta dalla parete lilla.
«Non lo voglio» disse subito la Patata gigante. «Benissimo» pensò la madre. E andò dal padre. «Scusa un attimo Patata, vado da tuo papà e torno. Non lo vuole» «Lascialo lì» disse lui, sereno, mentre goccioline di sudore scendevano sulla fronte della madre, con una ruota della culla già pronta a tornare in soggiorno. Andarono avanti così per due o tre volte, la madre tremava, il papà sorrideva, quindi le disse «dai, tienilo qui per cinque minuti e poi vediamo». E la Patata si addormentò. Alle cinque si risvegliò. «Non lo voglio qui». «Benissimo», ripensò la madre. Ma ebbe anche l’illuminazione «Ma tu non lo sai che siccome sei così bravissima che ora dormi con lui, domani mattina hai un regalino?». E con la solita tecnica probabilmente educativamente sbagliatissima la Patata sorrise e disse «Sì, lascialo qui». E fu così che accettò suo fratello in stanza.
La madre sorrise. Sapeva che era solo l’inizio. Che ci sarebbero stati risvegli dell’uno e risvegli dell’altra, che addormentarli alla sera sarebbe stato un po’ più complicato, che lei avrebbe iniziato a chiamarla più spesso perchè con lui che canticchia e verseggia addormentarsi sarebbe diventato meno semplice. Sapeva che avrebbe dormito per qualche tempo più tesa. Ma era felice. Perchè ce l’aveva fatta. Dormivano insieme. E il bilancio per ora era positivo.
La storia finisce che non contenta, la madre, dopo una settimana di nanna condivisa, decise pure di togliere il pannolino di notte alla figlia maggiore. Che io dico, ma madre, fare una cosa alla volta no? No.
ma secondo te perchè i padri son sempre così sereni e fiduciosi in questi frangenti?
perchè loro non passano giornate intere a pensare se fare o non fare una cosa, valutando conseguenze, pregi difetti, paranoie, etc. Loro fanno. O non fanno. Punto.